martedì 25 marzo 2014

IL DOLORE DELLA VIOLENZA SI FA ARTE.

Oggi 25 marzo 2014 apre al pubblico italiano una delle mostre più coraggiose e "vive" dei nostri tempi, centrata sulle tematiche della violenza. Si tratta di Regina José Galindo, nata a Guatemala City nel 1974 e considerata tra le artiste più rappresentative del continente latinoamericano. 
Ella parte dalla realtà del suo Paese, il Guatemala, afflitto da una costante instabilità e violenza, per denunciare le ingiustizie, le discriminazioni e gli abusi che attanagliano la società moderna. La mostra è artisticamente molto potente: l'artista sottopone il suo corpo, apparentemente fragile e minuto, ad una serie di azioni pubbliche, che trasmettono tutto il dolore e la sofferenza che le violenze provocano. 

La mostra, intitolata "Estoy Viva", già Leone d'Oro alla 51° Biennale di Venezia come migliore giovane artista, sarà aperta al pubblico da oggi 25 marzo fino all'8 giugno 2014, presso il PAC Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano.
L'esposizione è organizzata in cinque aree tematiche tra loro interconnesse, che rappresentano i diversi filoni di ricerca da parte dell'artista: politica, donna, violenza, organico, morte.
I curatori, Diego Sileo ed Eugenio Viola, hanno spiegato:
“Galindo esplora il proprio corpo, lo trasforma in strumento di rievocazione simbolica di eventi cui è sottoposto il corpo collettivo, il cosiddetto ‘corpo sociale’. Le sue azioni, realizzate in un’ottica di coinvolgimento totale, da un lato ribadiscono l’impegno dell’artista a materializzare attraverso la violenza e il dolore le criticità del presente, dall’altro esplicitano un senso di profonda impotenza, chiamando in causa simultaneamente i ruoli ancipiti di partecipante e spettatore”. 




Oggi 
più che mai diventa fondamentale  la capacità di mettere in immagini, rappresentazioni, suoni e parole, le tracce che la violenza lascia in chi la subisce. 

"Estoy viva" risuona allora come un messaggio lanciato a gran voce : "SONO VIVA!!!"




Come descrive magistralmente la giornalista Manuela Gandini su La Stampa: 
"la mostra è un viaggio al termine della notte che non concede alcuna via di fuga, impone verità. (...) Il percorso simbolico dell'artista, che ci fa sentire il male sulla pelle, è un processo di trasformazione, una catarsi, un atto di guarigione collettiva".


Dott. Olivero Giovanna


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